1° Incontro di Kokyū Hō – Kikō – Kuji In al Tempio Tenryuzanji

Ieri 30 Aprile 2023 si è svolto nelle prime ore del pomeriggio il previsto Incontro al Tempio Teryuzanji di Cinte Tesino https://www.tenryuzanji.org/ accolti con grande gentilezza dal Ven Seiun https://www.tenryuzanji.org/il-venerabile-seiun/ che ci ha di fatto concesso l’utilizzo esclusivo del Tempio. Un luogo veramente collegato spiritualmente con il Giappone e di cui nulla può invidiare con i più grandi Templi ivi dislocati.

Di seguito alcuni video esplicativi, uno di varie tecniche di respirazione (Suwari Ki Kokyū e Tachi Ki Kokyū)

Stage Domenica 26 Marzo 2023 Kuro Kumo Ryu Ninjutsu – Budokan Arezzo

DOMENICA 26 MARZO 2023 AL TERMINE DI UN INTENSO STAGE DIRETTO DA SOKE ALBERTO BERGAMINI LA BUDOKAN AREZZO E’ STATA NOMINATA UFFICIALMENTE SUCCURSALE DELLA KURO KUMO RYU NINJUTSU – KO SHIN KAI.

NEL CORSO DELLA GIORNATA SI SONO DIPLOMATI CINTURA NERA DI KENPO JUJITSU I DESHI NICO SCARTONI, AURA LUDDI E GABRIEL NEAGU CHE HANNO SOSTENUTO 10 COMBATTIMENTI A CONTATTO PIENO DA 2 MINUTI CIASCUNO CONSECUTIVI ALLA PRESENZA DELLA COMMISSIONE TECNICA NAZIONALE PRESIEDUTA DA SOKE ALBERTO BERGAMINI CON RENSHI LUCIO PICCIOLI E IL MAESTRO NAKYA CARRANI. Alberto Bergamini E Nakya Carrani

Considerazioni Personali

Con questo Stage ho avuto la conferma della validità e dell’utilità del confronto tecnico Marziale tra differenti stili di Arti Marziali, sia in termini di utilità ed efficacia delle tecniche, sia in termini di ricerca che riguarda la biomeccanica applicata.
Accolti con un entusiasmo veramente emozionante dal M°Piccioli e dai suoi allievi ho potuto osservare le sue fasi preparatorie di Junan Taiso e constatare con piacere la scelta di utilizzare il Tai Chi anzichè le solite tecniche di routine più definibili con il termine di stretching.
Sono seguite due ore (volate) in cui ho esposto concetti, scopi e storia dello Shinobi (Ponendo attenzione sul fatto che il “Jutai Jutsu” è solamente l’extrema ratio di una situazione in cui il Ninja veniva scoperto e che tutte le altre specializzazioni Marziali vengono saltate pari pari).
La lezione è proseguita con Shinobi Iri e con quattro tecniche di difesa da Chudan oi tsuki in cui l’impegno dei Deshi del M° Piccioli ha raggiunto alti livelli di attenzione, concentrazione e risultati.
Senza nemmeno una pausa i Deshi hanno iniziato un esame molto intenso basato su combattimenti di un livello Marziale veramente degno di nota e che mi hanno lasciato veramente entusiasta.
Con una punta di commozione ed ammirazione ho rilasciato, assieme al M° Nakya carrani ed al titolare M°Lucio Piccioli attestati, Cintura nera, Attestati di Partecipazione e Mon della nostra Scuola Kuro Kumo Ryu Ninjutsu (che applicheranno al termine della Cerimonia del Giuramento che si terrà prossimamente nella Sede di Ferrara).
Al termine ho conferito al M° Piccioli il Certificato di appartenenza e l’incarico di prima succursale della nostra Scuola Kuro Kumo Ryu Ninjutsu.
Un grande ringraziamento ed un triplo Banzai per questa bellisima esperienza! Arigato gozaimasu a tutti!

Kata, Kuden, e Hiden

Ci sono due kanji per esprimere il concetto di kata nelle tecniche di combattimento, uno viene interpretato come forma [型] e l’altro come struttura [形], cioè cosa è contenuto nella forma. Entrambi contengono un codice per “riprodurre la realtà” [幵], quindi il kata ha sempre avuto lo scopo di un allenamento “basato sulla realtà”.

C’è un altro terzo carattere, [方 Hō], che significa e che a volte può essere usato come parola connessa.

Le primissime arti marziali codificate, conosciute come Kaden (tradizioni familiari; 家伝), ovvero quelle create prima del periodo Edo (1603-1868) originariamente non avevano kata. Questi apparvero per la prima volta più tardi nel XVII secolo.

Nei più antichi Makimono (rotoli; 巻物) conosciuti, per il Kenjutsu, Jujutsu,  Sōjutsu (o Yarijutsu) ecc., della parola kata non ce n’era traccia. Le parole usate erano “uchi tachi” e “shi Tachi”.

Esistono diverse centinaia di kata nelle varie Scuole di Arti Marziali Tradizionali Giapponesi, ma sono completamente inutili se non si sono appresi i kuden che gli appartengono.

La forma del kata usata nel karate, per esempio, e nelle arti marziali moderne simili è arrivata molto più tardi, solo durante la fine del XIX secolo. Quindi lo scopo era quello di insegnare nuove tecniche a un gran numero di studenti. Le scuole che hanno cambiato la loro pedagogia dal trasferire la qualità alla gestione della quantità erano già chiamate “shin ryu” (nuove scuole; 真流), termine un po’ buffo perché molte di queste scuole oggi si autodefiniscono “ko ryu” (vecchie scuole; 古流).

Quando il kata venne creato per descrivere principi e concetti, nacque anche la necessità di dargli un nome eu uno scopo, ovvero il principio che conteneva. Molti nomi, concetti e idee provengono dal Buddhismo, dal teatro, dal tiro con l’arco, dal Noh, dall’Ikebana, dal Sadō, dalla poesia, ecc. Nel Gyokko-ryū, ad esempio, si dice che i segreti più intimi siano racchiusi nel nome del kata.

Il termine Kata può essere anche interpretato come una sequenza o codifica dei movimenti stereotipati dei Maestri di epoche anteriori. Se lo studente sa leggere la descrizione e ha gli strumenti nella forma del kuden per decodificare le informazioni, c’è molto materiale da approfondire e su cui riflettere. Il problema con i kata è che possono facilmente diventare rigidi e “spegnersi” a meno che il kuden non sia correttamente decodificato dallo studente. Alcune parti si possono perdere nel corso degli anni, come il Ma-ai, il Kukan, il Kizen, il Kokyū giusto perché se non trasmesse assieme ai movimenti del Kata stesso sono concetti non intuitivi.

Per definizione, non è possibile descrivere i movimenti di un maestro, né per iscritto, né per immagini, né verbalmente. Ci sono molti aspetti che lo studente deve imparare “I Shin den Shin” – e questo processo di comunicazione prende il nome di Hiden (trasmissione segreta; 秘伝).

È come quando un adolescente cerca di capire i propri genitori senza riuscirci perché gli manca l’esperienza pregressa, Probabilmente non riuscirà mai finché non diventerà lui stesso un genitore.

I movimenti di un Maestro possono essere equiparati ad un ruscello che scorre lungo il fianco di una montagna. Un Kata che cerca di descrivere a gesti questa immagine armoniosa diventa inevitabilmente rigido e goffo. Un Kata non può mai rappresentare nulla di spontaneo e naturale, ma può descriverne i vari aspetti, successivamente lo studente dovrà ingegnarsi con il proprio corpo e nella propria mente, così come descrive il concetto di Shin Tai e Waza. Molti vecchi kata hanno nomi molto poetici, che includono concetti come nuvole, nebbia, acqua corrente ecc., come per descrivere una dimensione mitologica.

Un altro problema che abbiamo oggi con i Kata è causato dalle moderne Arti marziali. La differenza consta dall’educare pochi studenti alla formazione massificata di centinaia di studenti, da lì la necessità di creare tecniche standardizzate che avevano il vantaggio di poter essere insegnate in una forma ritualizzata. E da qui nasce anche l’errata convinzione che anche nei Koryū gata si tratti di apprendere tecniche in forma ritualizzata.

Un semplice esempio è il nostro “Tsuki kata” (forma di spinta; 突型). E’ un errore considerarla una tecnica da utilizzare in situazioni di emergenza. Ma se se ne comprende il Kuden ad esso collegato, ovvero che l’importante è respingere l’avversario in modo che, nonostante sia stato colpito e gravemente ferito, non continui il suo percorso di movimento e non riesca nemmeno a colpire con la sua arma rompendo il suo Ma Ai.

Paragonando questo concetto alla spada; se il nemico ci affronta e colpisce con “hiki kiri” – tagliare arretrando, allora noi, dopo il colpo, possiamo ancora completare il nostro taglio e quindi ferirlo seriamente. D’altra parte, se si ha compreso il pericolo in questa tecnica e usi “oshi kiri” – taglio di spinta, allora l’avversario viene respinto. Nel contesto delle Arti Marziali, non importa se incontri “hiki o oshi“, perché è colui che incontra per primo che ottiene la vittoria.

Tutti i Kata un po’ “decontestualizzati” si possono dividere in due categorie; Tanren gata e Shinken gata.
Il Tanren gata (鍛錬型) è un esercizio per “forgiare e potenziare” le capacità motorie e fisiche al fine di utilizzare la biomeccanica della tradizione. L’Ukemi kata è un tipico Tanren.

Lo Shinken gata (真剣型) è per il combattimento reale e rappresenta tattiche che ovviamente includono anche abilità che sono state praticate con Tanren gata.

Durante il periodo Edo esistevano anche le Hyoen gata (表厭), tecniche mostrate in manifestazioni pubbliche e pubbliche, per attirare gli studenti a scuola e per fare soldi. Molte scuole Koryu di oggi consistono in molte forme Hyoen, ma non sempre i praticanti di queste scuole ne sono consapevoli perché il kuden è andato perduto nel corso degli anni.

Evento Ko Shin Kai Honbū Dōjō – Seminario Karate Stile Uechi Ryu

Ohayō gozaimasu a tutti! Un importante ed imperdibile Evento con marchio Ko Shin Kai Honbū Dōjō del M° Fulvio Zilioli 6° Dan di Karate Stile Uechi Ryu!

Il giorno 25 Giugno alle ore 10,30 il M° Fulvio Zilioli terrà un Seminario di Karate Uechi Ryu nel nostro Dōjō sito in Via Domenico Rambaldi, 56 a Ferrara!!!

L’Evento e’ aperto a tutte le scuole ed è per tutti gli interessati di Emilia romagna, Marche e Veneto.

Qualche informazione sullo Stile Uechi Ryu

Il Karate Stile Uechi-ryū (上地流 Uechi-ryū) è uno stile tradizionale di karate okinawense di matrice prettamente cinese. Fu introdotto per la prima volta ad Okinawa da Kanbun Uechi, il quale vi fece ritorno dopo un soggiorno in Cina durato più di dieci anni. Kanbun aveva lasciato Okinawa nel 1897, recandosi a Fuzhou nella provincia del Fujian (regione nota per gli stili di lotta della Gru Bianca, in cui si formò anche Kanryo Higaonna) per sottrarsi alla circoscrizione militare obbligatoria che all’epoca imponeva ai giovani di prestare servizio nell’esercito giapponese.
In Cina, Kanbun ebbe modo di studiare la boxe cinese sotto la guida di Shu Shi Wa, esperto conoscitore di una disciplina nota col nome di Pangai-noon (traducibile come “duro/morbido”).

I Kata praticati nello Uechi-ryū sono otto. Tre sono quelli originariamente appresi da Kanbun durante il suo soggiorno presso Shu Shi Wa: Sanchin, Seisan e Sanseiryu; i cinque restanti invece, furono elaborati da suo figlio Kanei Uechi e dai suoi studenti dopo la seconda guerra mondiale. Kata principale, considerato la chiave di volta dell’intero stile è il Sanchin (traducibile come “tre conflitti”). Attraverso la pratica di questo esercizio isometrico che può a tutti gli effetti dirsi propedeutico alla pratica del Karate Uechi-ryū, si apprende la respirazione basilare dello stile e con la dovuta durezza/morbidezza il corpo del praticante si plasma, i muscoli si tonificano e la struttura ossea si consolida.

I Kata dello stile Uechi Ryu sono:

Sanchin
Kanshiwa
Kanshu
Seichin
Seisan
Seirui
Kanchin (anche conosciuto come Konchin)
Sanseiryu (anche conosciuto come Sanseirui o Sandairui)

Gemellaggio tra la Scuola Yugen Ryu Sogobujutsu

Ohayō gozaimasu a tutti! Oggi è un giorno speciale per la Kuro Kumo Ryu Ninjutsu e la Ko Shin Kai Honbū Dōjō!!! E’ infatti avvenuto il gemellaggio tra la nostra Scuola e la Yugen Ryu Sogobujutsu del M° Francesco Malvano e quest’ultima si è gemellata anche con Ko Shin Kai Honbū Dōjō!!! Un grande benvenuto al M° Francesco Malvano ed alla sua Scuola! Sicuramente sarà l’inizio di una grande collaborazione anche con la MSP Arti Marziali Tradizionali Giapponesi di cui il Maestro è Responsabile Nazionale!

Trasformare le emozioni negative

Un giorno un maestro Zen vide un suo allievo in Zazen completamente rigido e con una espressione accigliata,  impugnò il kyosaku ed iniziò a percuoterlo gridando “Lascia andare! Lascia andare!”

Lo sciocco non perdona e non dimentica.
L’ingenuo perdona e dimentica.
Il saggio perdona, ma non dimentica.

Thomas Szasz

Gli episodi karmici negativi lasciano sempre una impronta emotiva più o meno grave, in base alle variazioni umorali che ci ha provocato e che abbiamo trattenuto, più grande è il dolore o l’afflizione che questo evento ci ha provocato e più tempo servirà per dimenticare.

Uno dei problemi più gravi consiste negli stati di “ruminamento” e “rimuginio”, vere e proprie psicopatologie che portano ansia e depressione, infatti il pensare in modo insistente e ripetitivo innnesca un circolo vizioso rinchiudendo chi lo mette in atto. Questa modalità di pensiero passivo e/o relativamente incontrollabile sottende emozioni diverse tra loro, come l’ansia, la rabbia e la depressione.

Una soluzione potrebbe trovarsi nella pratica del kintsugi 金継ぎ

o kintsukuroi 金繕い (letteralmente riparare con l’oro) una pratica giapponese che consiste in un lungo processo di metabolizzazione dell’esperienza vissuta e di riparazione attraverso la consapevolezza e l’accettazione dell’accaduto.Il kintsugi è l’arte di esaltare le ferite e non riguarda solo i vasi preziosi, ma può considerarsi una forma di terapia che facilita la trasformazione  delle ferite in punti di forza e le esperienze dolorose della vita in esplosioni di gioia.

Ma la soluzione più adeguata è il perdono vissuto come “lasciar andare”, ovvero fare si che la propria mente si distacchi dai torti subiti, eliminando gli ancoraggi a tutte quelle emozioni legate al sentimento di rivalsa, vendetta o rancore tutti  sentimenti e stati d’animo negativi che si sperimentano in  situazioni rabbia, rancore, stress, ansia o odio, sono armi letali che inconsapevolmente ci si auto infligge.

Daniel Lumera, autore di bestseller internazionali, docente, conferenziere, ed esperto nell’area delle scienze del benessere, della qualità della vita e nell’educazione alla consapevolezza, afferma che “Il perdono è uno strumento terapeutico di eccezionale efficacia: se usato correttamente disintossica il corpo, la mente e lo spirito, permettendo di riconquistare fiducia in se stessi”.

Il mio punto di vista personale (fedele al concetto dell’I Shin Tonkei- Massimo risultato minimo sforzo) è che il perdono sia un termine generico e vago, difficilmente realizzabile in un breve lasso di tempo che necessita di un vero e proprio percorso di disintossicazione, mentre il vero distacco risieda nei concetti del Raffinamento Spirituale del Ninja (Seishin Teki KyoHō) come ad esempio il “Bansen Fugyō” (Non meravigliarsi nemmeno di fronte a Diecimila cambiamenti) o il “Kajo waraku, Kajo Chikusei” (Avere il Cuore come un fiore e lo Spirito come il Bambù). Come noterete questi “stati della mente” non richiedono sforzi o esercizi complicati, ma solamente l’applicazione del distacco.

Se paragoniamo gli eventi karmici (siano essi positivi o negativi) ai fili di una ragnatela, dobbiamo essere come il Ragno che non rimane invischiato, ma che gestisce i filamenti (naturalmente adesivi, quindi infidi) con le proprie zampe adatte a muoversi quasi pattinando su di essa… rimanendo “distaccato”.

Il distacco è proprio il mezzo ottimale per tenere lontani ancoraggi karmici negativi legati ad eventi spiacevoli, traumatici o dolorosi, NON E’ una rimozione del proprio bagaglio vissuto o uno stato dissociativo, ma è una sorta di “allontanamento” per vedere le cose da una prospettiva diversa, di più ampio respiro.

Come citato nell’Ottavo Aforisma della Karmanautica “L’osservazione del quotidiano karmico deve sottostare alla regola del “Ma Ai” – Giusta Distanza – solo così si potrà ottenere la prospettiva necessaria ad un’attenta analisi, un “giusto vedere” che si differenzia dal “guardare senza vedere”. Guardare senza vedere: atteggiamento/stato tipico dell’osservazione superficiale che vede solo attraverso la realtà soggettiva, che non coglie le trame del Velo di Maya ma solo gli effetti più immediati. Questo atteggiamento è prerogativa di chi osserva la realtà “a pelo dell’acqua”, senza conoscere né tantomeno considerare i rapporti di causa/effetto”.

Come citato nel mio ultimo articolo tratto dal Fudōchishinmyōroku “Testimonianza segreta della saggezza immutabile” del Monaco Zen e abile spadaccino Takuan Sohō,

FUDŌCHISHINMYŌROKU – LA TESTIMONIANZA SEGRETA DELLA SAGGEZZA IMMUTABILE

in cui si ritiene ignoranza  l’assenza dell’’illuminazione, l’oscurità, inganno, errore, illusione, quella illusione o kasumi (annebbiamento) in cui rimane invischiata la mente che non si distacca. “La mente si ferma quando è trattenuta da un oggetto,un’azione, una riflessione, una preoccupazione la quale può essere di qualunque natura”. E ancora “Nell’ambito dell’arte marziale stessa fermarsi significa, ad esempio, osservare la spada in movimento mentre sta per colpire.
La mente, fissa, si preoccupa della spada in se, e non permette ai movimenti dello spadaccino di essere liberi e compiuti. In quel medesimo istante l’avversario ha la meglio.
Occorre fare in modo che la mente non venga trattenuta dalla visione della spada che si muove per colpire”. Si rende quindi necessario staccarsi dalla mente stessa per potersi separare da quegli stati emotivi opprimenti creati dagli eventi karmici negativi…

Quindi Wake up e lasciate andare! Lasciate andare!!!

Rituale del fuoco…… Il Goma 護摩

Dopo il Rituale con l’acqua, il fuoco gioca il ruolo più importante  tra gli elementi. Il rituale Goma è in realtà una pratica specifica dello Shingon, che il monaco Kūkai (Kōbō Daishi)( Kūkai, ricordato dopo la sua morte anche con il titolo onorifico di Kōbō-Daishi è stato un monaco buddhista giapponese, artista, fondatore in Giappone della scuola buddista Shingon, basata sullo studio del Vairocana e sulle speculazioni della scuola cinese Zhenyan) portò in Giappone con il “Mikkyō” nell’806 durante il suo soggiorno di 2 anni in Cina. Originariamente, Goma divenne noto in India come “Homa”, cioè culto vedico.

Tuttavia, il Goma è un tipico rituale del Mikkyō. Nella tradizione Shugendō si pratica il cosiddetto “Goton Po” (rito delle 5 divinità), che è dedicato a 5 diverse divinità. Jūichimen Kannon 十一面観音, Fudo Myō-ō 不動明王, Daikokuten大黒天, Yakushi Nyorai薬師如来e Bishamonten毘沙門天 visti come soggetti sacri da immaginare.

Esistono diversi tipi di Goma che si svolgono specificamente in determinate date, occasioni e cicli lunari. I Goma si tengono soprattutto in ogni luna nuova e piena. Un rituale del fuoco serve a rimuovere vari ostacoli ed è suddiviso in diverse sezioni in cui vengono fatte offerte a una o più divinità. Un classico semplice Goma è dedicato al dio del fuoco “Katen” ed è composto da una sola sezione. Nel Goma, le fiamme rappresentano il fuoco della saggezza del Buddha, che brucia l’ignoranza e l’illusione e le trasforma in saggezza. La pratica del Fudō e le fasi successive vengono eseguite presso un altare rituale del fuoco, una piattaforma di legno quadrata con un focolare circolare. Su questa piattaforma ci sono gli oggetti e i doni buddisti più diversi, ognuno dei quali ha il suo significato speciale. La divinità centrale più importante è Fudō Myō, l’incarnazione di Dainichi Nyorai come Avatar adirato.

✩ Hokkai-goma 法界護摩 per il risveglio di tutte le esistenze

✩ Ri-goma 利護摩 è fatto per soddisfare tutte le passioni, desideri e desideri

     bruciare per promuovere l’illuminazione

✩ Ji-goma 字護摩 si concentra su uno specifico kanji o bonji da aprire e liberare il suo carattere.

✩ Saokusai-Saito Goma さおくさい護摩 il Goma più praticato in tutte le scuole di Shugendō. Un banchetto con offerte a Fudō Myō. Una cerimonia all’aperto in cui vengono scagliate cinque frecce nei quattro punti cardinali all’inizio, l’ultima al centro del focolare. Ciò corrisponde ai cinque Godaimyō evocati da questo rituale, che collegano i confini del mondo terreno e cosmico. Poi il fuoco viene acceso da due tedofori che incarnano il negativo e il positivo (In e Yo). Con i ventagli, il potente fumo sacro emesso dal legno di cedro viene diretto attraverso l’area rituale e sopra le teste degli Yamabushi per purificare i loro corpi. Il Daisendatsu (Sacerdote Capo) siede davanti al fuoco e si connette mentalmente con Fudō Myō e il portale in fiamme. Quindi getta nel fuoco vari oggetti e anche tavolette di legno con i desideri.

Una volta che il fuoco si è spento, gli Yamabushi camminano a piedi nudi tra le braci per mettere alla prova la loro fede e volontà.

Inizialmente, il praticante visualizza un Vajra che simboleggia l’universo nelle fiamme e poi trasforma il Vajra nella forma blu e nera di Fudō Myō. Infine, la “trasformazione” del praticante in Fudō Myō avviene con la recitazione del Mantra. Quando questa sezione è finita, inizia il Goma vero e proprio. Dispone gli oggetti rituali e strofina l’incenso tra le mani. Ora inizia una visualizzazione attorno ai tre segreti del “Sanmitsu per unire il potere del Buddha, del focolare e del praticante. Corpo, parola e spirito del focolare sono l’altare. Ora undici bastoncini sacrificali di legno, che sono stati consacrati in precedenza, vengono gettati uno dopo l’altro nelle fiamme, che rappresentano l’illusione nella vita umana. Così le fiamme della saggezza vengono alimentate e l’illusione scompare. La luce viene ora invocata con un mantra diverso e nelle fiamme viene visualizzata una sillaba seme che simboleggia l’aria. Altre invocazioni sul seguire il dio del fuoco Katen.

Ora le offerte sono fatte. Un po’ d’acqua viene versata nelle fiamme, sciacquando simbolicamente la bocca di “Katen”. Ora qualsiasi divinità viene chiamata con il suo rispettivo mantra e manifestata con il mudra. Si accoglie la divinità come un ospite. Ora l’incenso in polvere viene cosparso sul fuoco. Una miscela di olio e miele viene versata nel fuoco. L’olio simboleggia ancora una volta l’infatuazione e la saggezza del miele. Quindi segui di nuovo la legna da ardere benedetta. Dopodiché, il riso viene gettato nel fuoco come illusione e benedizione allo stesso tempo, superando la propria illusione. Cinque tipi di grano ora alimentano le fiamme come simbolo di odio, avidità, follia, dubbio e arroganza. I doni vengono trasformati nell’universo dal praticante. Il dio del fuoco Katen viene salutato lanciando fiori in un angolo del camino.

Il fumo che sale sopra il camino è considerato sacro ed è spesso usato per benedire certi oggetti. Nelle immagini qui riportate sono consacrati i portafortuna “Ofuda” in legno e i portafortuna “Gohei” in carta piegata. La zona dove si esegue il Goma è delimitata da spesse corde di tessuto che fungono da bordo. L’area interna è uno sfogo diretto nell’universo e solo al praticante è consentito eseguire il rituale dal lato aperto accessibile.

Senkō Goma……

Il Rituale del Fuoco Senko Goma è il primo grande rituale fondamentale che lo studente impara nel Koryu Shugendo. I Senko sono bastoncini di incenso, tipicamente giapponesi senza anima in legno. 37 pezzi in numero simboleggiano le esistenze nel Kongokai Mandala. Il sale nel braciere rappresenta l’oceano, mentre le bacchette in una precisa disposizione rappresentano il mondo materiale di Taizokai. Incorporato in diciotto preghiere, il fuoco costituisce il centro dell’intero rituale.

Saito Goma……

Il Saito Goma segna la fine dell’annuale scalata in montagna di tre giorni. Questo è un grande evento antincendio all’aperto in cui le “persone” sono invitate. Gli Yamabushi erigono un piedistallo di legno ricoperto di rami di cedro o di abete. Quindi l’intero luogo viene delimitato con corde di canapa, sale e strisce di carta “shide”. Strisce di carta nei colori “giallo, blu, nero, bianco” e “rosso” al centro sono attaccate in ogni direzione. Questi simboleggiano 5 draghi e rappresentano anche Godai Myō Re della Saggezza. Un santuario è costruito a nord. In questo festival “Matsuri”, gli Yamabushi dimostrano le abilità magiche (Genjutsu) che hanno acquisito in montagna. Attraverso il cosiddetto “Kaji”, lo Shugenja per lo più si identifica completamente con la divinità principale Fudō Myō e ne adotta le caratteristiche. Lo Shugenja spesso entra nell’acqua bollente, cammina attraverso il fuoco o sale scale con pioli affilati per dimostrare il Genjutsu.

All’inizio della cerimonia viene tagliata la corda di canapa che forma la barriera e gli Yamabushi entrano nella simbolica pedana della matrice. Viene suonato l’horagai e vengono recitate alcune preghiere e mantra.

L’intero Saito Goma si è tenuto in inglese per la prima volta nel 2013!

Un estratto dal rituale dell’arco:

Questo arco ha un potere spirituale che scaccia gli spiriti maligni e sconfigge i diavoli che minacciano la vita e la morte. Arco e freccia sono le armi più potenti per sminuire le cattive esistenze. Il cielo stesso non ha oggetto e la terra non ha fase. Questo mondo è come il caos, ma contiene la verità ultima verso l’illuminazione. Adesso è il momento in cui il mondo comincia, le cose immacolate salgono e diventano cielo, mentre le cose pesanti e fangose ​​diventano terra. All’est, all’ovest, al sud, al nord e al centro, improvvisamente apparvero draghi blu, gialli, rossi, bianchi e neri per proteggere ogni direzione.

Quindi vai all’angolo est. La persona con il ventaglio si trova direttamente nell’angolo, mentre la persona con l’arco si posiziona a circa quattro metri di fronte a lui. La terza persona con le frecce si inginocchia dietro l’arciere e gli dà la freccia corrispondente (blu). L’arciere posiziona la freccia sulla corda e dice:

Ora tirerò l’arco verso est per uccidere un diavolo che causa disastri a questo Saito Goma.

Quindi l’arciere tende l’arco e mira nell’angolo. La persona con il ventaglio lo ha aperto, lo tiene davanti a sé e risponde:

Aspetta! La direzione est è il territorio dei draghi blu. È stato trasformato da Gosanze-Yasha myoo che qui governa 84.000 divinità e guardie. Quindi non ci sono diavoli qui.

Arciere fa il kiai: YEEYA!

Il portatore di ventaglio risponde, battendo il ventaglio su ogni sillaba: A! Ban! Un!

L’arciere rilascia lentamente la tensione sull’arco e lascia cadere la freccia a terra. Lui dice:

Poi tirerò l’arco a sud.

Lo stesso accade nelle altre direzioni e al centro. Solo con le seguenti modifiche:

Sud: Gundari-Yashamyō, Drago Rosso

Ovest: Daitoku-Yashamyō, Drago Bianco

Nord: Kongo-Yashamyō, Drago Nero

Centro: Fudō-Myō, Drago Giallo

Meditazione sotto la cascata…… Misogi 禊 e Takigyō  滝行 

Sono pratiche ascetiche di montagna e rituali di purificazione. Molto spesso queste pratiche vengono attuate insieme ad altri esercizi ascetici come la privazione del sonno e il digiuno rigoroso. Nello Shintoismo, la pratica del Misogi significa meditazione sotto la cascata e bagni in acqua molto fredda o ghiacciata.

Nel Buddhismo, la meditazione sotto la cascata è chiamata Takigyō. Questa parola significa “stare sotto la cascata”. Il secondo termine è Takishugyō 滝修行, questa pratica significa “La dura pratica sotto la cascata” che consiste nell’ esercizio della durata di una settimana per  tre volte al giorno di meditazione sotto i getti d’acqua che scendono dalla cascata.

Le pratiche ascetiche invernali sono chiamate Kangyō, che significa “Dure pratiche invernali”. Nelle spiegazioni seguenti, il termine Takigyō è sempre usato per una migliore comprensione. Il Takishugyō, consiste nell’immergersi tre volte al giorno sotto la cascata per una settimana.

La tradizione di questo rituale risale alla leggenda Shintoista della divinità Izanami no Mikoto, che si purificò in mare dopo aver attraversato Yomi, il regno dei morti. Per il rituale viene utilizzato uno speciale abbigliamento bianco, uno Yukata 浴衣 (una specie di kimono estivo) o un Fundoshi 褌, un perizoma. In Giappone il colore bianco è il colore della morte, nel rituale del Takigyō si muore ritualmente e si viene purificati dai peccati e dalle cattive influenze dall’acqua fredda e poi si rinasce.

Il Rito del Takigyō può essere eseguito sotto qualsiasi cascata adatta a questo scopo, tuttavia ci sono alcune cascate considerate  sacre in Giappone che sono specificamente utilizzate dai monaci per questo rituale.

La meditazione della cascata non ha solo un carattere religioso o ascetico, ma viene spesso praticata nelle Arti Marziali Giapponesi come ad esempio il Karate,il  Ninjutsu o l’Aikidō per indurire e rafforzare il corpo e la mente. Maestri di Karate come Jitsumi Gōgen Yamaguchi o Masatatsu Oyama erano famosi per il loro kime, che sviluppavano sotto la cascata eseguendo il kata Sanshin con la corretta tecnica di respirazione Ibuki.

Anche nella scuola Buddhista Shingon, ma soprattutto nello Shugendō, il Takigyō è spesso praticato durante tutto l’anno, a volte di notte quando la luna è piena. Molti Yamabushi fanno un pellegrinaggio specificamente nelle aree del Monte Ontake, dei Monti Kii o del Monte Yoshino per praticare il Takigyō. Ora ci sono diversi metodi e tecniche così come anche Divinità e preghiere a cui devi prestare attenzione nel Takigyō. Nello Shintoismo si adorano vari Kami nelle foreste e si chiede loro la purificazione.

“Harae Tamae Kiyomi Tamae Rokon Shojo” Questa frase chiede al Kami di lavare via l’impurità dei sei sensi e purificare la mente. Tuttavia, la forma buddista più conosciuta è la trasformazione in Fudō Myō e l’invocazione del Mantra Fudō.

La cascata rappresenta una connessione diretta tra l’universo Taizokai e il mondo materiale di Kongokai.

Se l’asceta va sotto la cascata usando varie tecniche, visualizza la sillaba seme di Fudō Myō e attraverso l’uso corretto del Sanmitsu o Kuji In e Kuji kiri, l’asceta diventa lui stesso Fudō Myō, si svuota di tutta la sua carica negativa e si ricarica di Energia pulita. La pratica del Takigyō non è solo ascetismo, pratica religiosa, respirazione e resilienza, ma comunione con la natura.

Tuttavia, è anche una pratica molto dura e rigida che non si  dovrebbe mai affrontare da soli senza esperienza o senza l’insegnante appropriato. Se non si conoscono le tecniche spirituali e i Mudra dietro di esso, il Takigyo non rimane altro che una doccia fredda. La pressione dell’acqua e gli ioni caricati negativamente nell’acqua massaggiano il Chakra della corona che si trova al di fuori del nostro corpo fisico sopra la testa. Ogni cascata e ogni luogo ha un’aura circostante diversa e anche l’asceta ha esperienze diverse durante la sua pratica. Ancora una volta, però, vorrei avvertire che molte persone che vanno sotto una cascata da sole senza conoscere la pratica è come prendere un calcio. Non bisogna mai sottovalutare il potere e i pericoli insiti nelle Energia della Natura.

1° Incontro al Tenryuzanji Tendai Risshu Kyokai – Pratica del Kuji In della Scuola Kuro Kumo Ryu Ninjutsu

Pratica del Kuji In, https://kojinnomichi.wordpress.com/2020/07/03/kuji-kiri-%e4%b9%9d%e5%ad%97%e5%88%87%e3%82%8a-e-kuji-in-%e4%b9%9d%e5%ad%97%e5%8d%b0/ da eseguire assolutamente con una guida, ogni “Esperimento” individuale fatto in assoluta inesperienza e “Per vedere cosa succede” può essere estremamente destabilizzante e pericoloso.

Respirazioni – Kuji In Mantra e Mudra al Tempio Tenryuzanji

Il giorno 30 Aprile dalle ore 14.00 circa si terrà un incontro basato sulle Tecniche di Respirazione per il potenziamento del Ki, sulle Tecniche di gestione ottimale del Ki, Mantra e Mudra del Kuji In.

Programma:

Kokyū Undō:

Suwari Ki Kokyū: Chi – Ten – Jin

Kikō: Hachi Kinran

Kuji In – Mantra e Mudra

Jusanbutsu Shingon

Evento tenuto dal M° Alberto Bergamini ad offerta libera che andrà per la gestione del Tempio 🙏

E’ gradita la prenotazione

Sulla Magia nei rituali Shugendō……

 

Il compito originario di uno Shugenja è sempre stato quello di provvedere ai bisogni quotidiani delle persone attraverso divinazioni, oracoli, preghiere ed esorcismi. Ancora oggi, i compiti più importanti includono la pratica dell’ascetismo in montagna, la divinazione, le preghiere e l’uso di abilità religiose e magiche. I rituali sono la chiave per comprendere lo Shugendō come un percorso e una religione. Queste pratiche e rituali sono tenuti segreti fino ad oggi e vengono trasmessi solo oralmente da insegnante a studente. L’obiettivo della maggior parte delle pratiche è diventare Buddha in questa vita. (Sokushin Jōbutsu 即身仏 lett. “Buddha nel suo stesso corpo” – si riferisce a un particolare rituale religioso buddhista, praticato a partire dall’XI secolo da svariati monaci giapponesi i quali, attraverso una lunga e dolorosa preparazione mentale, fisica e alimentare, che culminava con la morte, predisponevano volontariamente il proprio organismo a un processo di “auto-mummificazione”.).

Spiegata semplicemente, la trasformazione di un uomo comune in un uomo beato con l’aiuto di un addestramento mistico su una montagna sacra. Ad esempio, nel rituale del fuoco chiamato Goma, il praticante spesso si trasforma in un “Axis Mundi” (una montagna cosmica che collega il cielo e la terra) e diventa così un essere onnisciente che può controllare tutte le cose nel cosmo. Lo scopo di molte pratiche è quindi quello di ottenere poteri soprannaturali, (Ad esempio come quelli di uno sciamano).

Si tratta di abilità che lo Yamabushi acquisisce e che gli permettono, ad esempio, di controllare il fuoco e il fumo, leggere nel pensiero, aggiungere o togliere  energia dagli esseri viventi e comunicare con diverse Divinità.

In Europa, la pratica magica di “Kuji in” e “Kuji kiri” è nota, soprattutto attraverso molti film di arti marziali. Queste sono pratiche magiche tipiche dello Shugendō (修験道 lett. “la via del potere spirituale mediante l’ascesi”) . I 9 sigilli e i Mudra (posizioni delle mani) ad essi associati sono stati sviluppati in epoca pre-buddista, cioè qualche migliaio di anni fa, per adorare il Dio Indra, il Dio del fulmine.

Nell’induismo furono usati per la prima volta nelle caste inferiori. L’efficacia delle tecniche era così convincente che presto trovarono la loro strada nel buddismo, furono praticate dai monaci e poi adottate anche da gruppi sciamanici ed esoterici in Cina. Il trattato Baopu Zi fu il primo a trattare dei mudra e li fece conoscere nel III secolo d.C. (Il Baopuzi – cinese semplificato :抱朴子; cinese tradizionale :抱樸子) è ​​un’opera letteraria scritta da Ge Hong – traslitterato anche come Ko Hung 葛洪), 283–343, uno studioso durante la turbolenta dinastia Jin . Il Baopuzi è diviso in due sezioni principali, l’esoterico Neipian (內篇) “Capitoli interni” e la sezione destinata alla comprensione del pubblico, Waipian (外篇) “Capitoli esterni”. I capitoli interni taoisti discutono argomenti come le tecniche per ottenere “hsien” (仙) “immortalità; trascendenza”, alchimia cinese , elisir e demonologia. I capitoli esterni confuciani discutono di letteratura cinese , legalismo , politica e società).

Le tecniche giunsero poi in Giappone attraverso il Taoismo e il Buddismo cinese e furono praticate principalmente nel Buddismo esoterico (Mikkyō) delle Sette Shingon e Tendai, ma se ne trova traccia anche nello Shintoismo e nello Shugendō.

I primi scritti giapponesi su Kuji In (9 sigilli) furono pubblicati dal monaco Shingon Kakuban (覚鑁/覺鑁; 1095–1143), noto postumo come Kōgyō-Daishi (興教大師) era un sacerdote della setta buddista Shingon in Giappone e accreditato come riformatore, sebbene i suoi sforzi portassero anche a uno scisma tra Kogi Shingon -shū (古儀真言宗, Vecchio Shingon ) e Shingi Shingon-shū (新義真言宗, Nuovo Shingon ) nel XII secolo e furono principalmente dedicati al Buddha Amitabha (Giapponese Amida Nyorai). Anche il fondatore del lignaggio Jodo Shinshu, il monaco Shinran, adottò il Kuji nei suoi scritti e meditazioni. Nel XVIII secolo, Nichiei, il fondatore del Lignaggio Nichiren, intrecciò il Kuji con il Sutra del Loto e Vaishravana (Giapponese Bishamonten, dio nero dei guerrieri, della prosperità, protettore del nord e del Buddismo. Tibetano: Dzambhala).

Ci fu uno scambio tra i monaci e i Sōhei 僧兵,( letteralmente “Monaco soldato”) è un termine della storiografia giapponese che indica i gruppi paramilitari associati ai templi buddhisti in età medievale, nei quali militavano laici e monaci ordinati. Il termine coevo più comune era akusō 悪僧, “monaco cattivo” in senso lato, cioè “in armi”. I guerrieri apprezzavano le qualità derivate dalla pratica del Kuji, come ad esempio i sensi intensificati e la comprensione intuitiva che provenivano dall’ esercizio regolare e continuo.

Il Kuji-In divenne noto per la prima volta in Occidente attraverso le arti marziali, tuttavia, l’obiettivo del Kuji-In non è sviluppare poteri magici o poteri curativi, essendo questi solo effetti collaterali. Il vero obiettivo è cercare la verità in noi stessi, contemplando principi più elevati come la compassione e la saggezza e praticando una condotta elevata nella nostra vita quotidiana. È necessaria molta pratica perché la conoscenza e la saggezza dietro i 9 sigilli non possono essere studiate ma devono essere scoperte e rivelate attraverso la pratica.

Gli effetti collaterali (E straordinari) come la telepatia e la chiaroveggenza si manifestano da soli senza sforzo. Nei successivi rituali e pratiche le cose vengono descritte solo superficialmente. Attenzione ad eseguire queste pratiche Mistiche scimmiottando o copiando le tecniche senza un insegnante, poiché a volte questo può portare veri e propri danni alla salute!

Come già accennato la Tradizione del Kuji In e  Kuji Kiri è arrivata dal Tibet attraverso la Cina fino al Giappone e lì è stata modificata ed adattata. Poiché il Kuji è tenuto segreto nel Mikkyō giapponese, in questo articolo non verrà descritta qui nessuna tecnica individualmente. Va detto che ci sono innumerevoli variazioni e forme di Kuji in Giappone. Ogni tradizione ha le sue peculiarità e utilizza anche diverse divinità. Il Kuji In è una forma di meditazione o contemplazione su 9 diversi sigilli. Kuji kiri è una sezione magica in cui il praticante disegna una matrice di 9 tagli (griglia) piena di emozione o taglia l’etere con la mano destra (mano della spada). Un decimo simbolo viene quindi disegnato nella griglia (bonji o kanji). Il decimo simbolo rappresenta il “desiderio” o intenzione del praticante.

La variante tibetana originale del Kuji differisce in quanto, oltre a Mantra, Mudra e Mandala, viene utilizzato un concetto di Dharma e i Chakra sono usati come mandala. Quando il Kuji arrivò in Giappone, i giapponesi non potevano pronunciare le forme sanscrite del mantra, quindi furono adattate alla lingua giapponese. Proprio come la maggior parte delle scritture buddiste. Così nella forma tibetana originale si medita attraverso nove sigilli o concetti nella loro disposizione sottile. RIN, PYO, TOH, SHA, KAI, JIN, RETSU, ZAI, ZEN. Inizi qui nella prima settimana con il sigillo “Rin” interiorizzato e su cui hai lavorato e nella seconda settimana ti sposti su “Pyo” e così via, quindi saresti occupato con questo processo per nove settimane.

Attraverso questa forma di meditazione si sviluppa la propria coscienza, si lascia tutto ciò che è mondano, temporale, materiale e spaziale nei livelli superiori e si costruisce mentalmente la propria matrice. Questa forma di meditazione può essere molto “movimentata” e bizzarra in quanto alcune parti del cervello vengono sollecitate e possono verificarsi alcuni “effetti collaterali”. Come effetto collaterale nel Kuji si possono verificare episodi di precognizione, chiaroveggenza o telepatia.

Nella forma giapponese, per ciascuno dei 9 sigilli viene utilizzata una divinità con il Mantra di invocazione associato. Le divinità spesso differiscono da scuola a scuola e anche i Mudra associati. Nella maggior parte dei casi vengono utilizzati i Quattro Shitennō四天王(E’ un termine giapponese che si riferisce alle divinità dei Quattro Re Celesti) e i cinque grandi Godaimyō . Ognuna di queste divinità è un avatar di un Buddha, per esempio,  il Fudo Myō in piedi al centro incarna Dainichi Nyorai nel senso più ampio. In Kuji kiri, che rappresenta un aspetto puramente magico, si usa una griglia di potere di queste nove divinità per implementare una decima sillaba. Così i marinai usavano il kuji kiri per tornare sani e affrontare le tempeste, i Guerrieri per rafforzarsi o per influenzare i nemici mentalmente e fisicamente, ecc. Insieme al rituale protettivo del cosiddetto Goshin Hō, il sistema Kuji costituisce una parte molto importante di quasi tutte le pratiche Shugendō.

Una nuova soddisfazione targata Ko Shin Kai Honbū Dōjō – Benvenuto M° Fulvio Zilioli!!!

Chi è il M° Zilioli – Inizia la pratica del Karate (Shotokan) nel 1970 a 18 anni, dopo i l servizio militare prosegue fino al raggiungimento del 3° Dan, successivamente i n contemporanea alla pratica del Karate vi aggiunge la pratica dello Shaolin e del Tai Chi con il M° Chang Dsu Yao fino a raggiungere il 2° Chie (dan). Nel 1999 si reca in Giappone a Tokyo, dove vi risiedera’ per circa tre anni praticando principalmente Karate Goju ryu e integrandolo con la pratica del Kendo, Iaido e Katori Shinto Ryu.

Nel Marzo 2000 e 2001 frequenta i prestigiosi seminari di pratica e studio del Budo antico alla I.B.U. (International Budo University) a Katsuura city (Chiba). Nel Dicembre 2001 si trasferisce a Okinawa dove viene introdotto al quartier generale (Kenshu Kaikan) della OKIKUKAI (Okinawa Karate Associaton) per la pratica del Karate Uechi Ryu, contemporaneamente a Okinawa inizia anche la pratica del Kobudo.

Oggi il Maestro Fulvio Zilioli e’ 6° Dan di Karate Uechi ryu e 4° Dan di Kenryo Ryukyu Kobudo e si dedica unicamente alla pratica e all’insegnamento di queste due discipline con frequenti viaggi a Okinawa nei dojo della OKIKUKAI. Tra alcune gare in Giappone: Bronzo nel Kumite a Saitama nel 2000 e Argento nei Kata a Okinawa nel 2003 e 2005

Samu 作 務

Il Dōjō era di solito un locale di modeste dimensioni collocato nelle vicinanze di un castello, ai margini delle foreste, o nei pressi di un tempio per fare si che i segreti delle tecniche in esso trasmesse venissero più facilmente mantenuti tali.

Dōjō ( 道場, Dōjō), comunemente trascritto come dojo, ovvero senza l’accento diacritico, è un termine giapponese che significa etimologicamente luogo (jō) dove si segue la via (dō).

La consuetudine, quando si finisce una lezione, o un giorno fisso della settimana impone che si eseguano delle pulizie accurate chiamate Soji 掃除 (pulizia).

Per me non si tratta di semplici pulizie di un locale, ma diventano un metodo per meditare, così come i Monaci nel loro tempio chiamano Samu (作 務) le pulizie, io preferisco definire Samu la mia pratica. Una pulizia che non è un semplice atto esteriore come eseguire semplicemente le mansioni negli spazi interni o esterni del luogo di pratica, ma vuole essere un gesto che si interiorizza divenendo un modo per trovare il Mu (Vuoto).

Annuncio Ufficiale – Kuro Kumo Ryu Ninjutsu

Dal giorno 26 – 03 – 2023 la Scuola Budokan Arezzo del M° Lucio Piccioli, in occasione dello Stage,  diverrà la prima succursale della Kuro Kumo Ryu Ninjutsu ed al M° Piccioli verrà permesso di utilizzare il Mon della Scuola.

Nella Sede Budokan Arezzo verrà gradualmente trasmesso lo stesso programma che seguono attualmente i Deshi dell’Hombū Dōjō della sede di Ferrara.

Nella Sede Budokan Arezzo verranno tenuti Seminari monotematici inerenti il Ninjutsu della Koka Ryu e saranno validati esami e passaggi di grado.

Tale comunicato verrà ufficializzato tramite un attestato di appartenenza vidimato e certificato.

Domenica 26 Marzo Evento Ko Shin Kai Budokan Arezzo!!!

DOMENICA 26 MARZO UN EVENTO QUASI STORICO PER LA BUDOKAN AREZZO E PER LA KO SHIN KAI RYU: a 10 anni di distanza esatti dall’ultima volta (marzo 2013) a conclusione dello stage di Jutaijutsu diretto da Soke 7° Dan Alberto Bergamini direttore della Kuro Kumo Ryu Ninjutsu – Ko Shin Kai, la nostra associazione presenterà in commissione tecnica nazionale, presieduta da Soke Bergamini stesso affiancato da Renshi Lucio Piccioli e dal Maestro Nakya Carrani, ben 3 allievi all’esame di SHODAN (cintura nera 1° Dan). Dopo ben 10 anni di ricerca, duro lavoro e selezione durissima spesso condita da amare delusioni circa le qualità non tanto tecniche ma umane di alcuni potenziali candidati, la Budokan Arezzo ha finalmente trovato 3 Deshi esemplari, distintisi per serietà impegno/abnegazione/spirito di sacrificio/resistenza al dolore/attaccamento al Dojo da ammettere agli esami nazionali di cintura nera: NICO SCARTONI, GABRIEL VLAD NEAGU e AURA DENIZ LUDDI. Come da regolamento del Kenpo Jujitsu i 3 candidati per guadagnarsi la cintura nera dovranno SOSTENERE E SUPERARE BEN 10 COMBATTIMENTI CONSECUTIVI A CONTATTO SENZA PROTEZIONI DELLA DURATA DI 2 MINUTI CIASCUNO contro altrettanti avversari dimostrando controllo sia fisico che emotivo, resistenza e capacità di dominare entrambi gli aspetti dello stile: tecniche di colpi e tecniche di proiezione.

Il Nafudakake

Il Nafudakake(名札掛け, lett. “portatarga”) è un metodo giapponese per mostrare tutti i nomi dei membri di un gruppo raccogliendo i nomi su singole targhette chiamate nafuda (名札, ” targhetta “) e appendendole insieme in un caso specializzato chiamato kake (掛け, “telaio”) . Il Nafudakake può essere utilizzato anche nei luoghi dove si praticano forme d’arte tradizionali come il Chadō ,  nei santuari Shintoisti (dove sono usati per mostrare i nomi dei benefattori) e in alcune organizzazioni moderne come i vigili del fuoco volontari, ma è più comunemente associato alle Arti Marziali giapponesi, il Nafudakake è infatti comunemente considerato un elemento di un tradizionale Dōjō di Arti Marziali. 

Nafuda

I nafuda sono sottili placche di legno rettangolari su cui i nomi delle persone sono scritti verticalmente in kanji o kana o orizzontalmente in caratteri latini . Le placche sono generalmente realizzate in legno chiaro come il pino e dipinte a mano. Il retro della targa può contenere informazioni sulla storia della persona nel Dōjō .

Scopo e uso dei Nafuda

I Nafuda sono usati per scopi diversi in diversi Dōjō . In alcuni Dōjō , i nafuda sono disposti in base al rango e il nafuda di una persona viene spostato al raggiungimento di un rango superiore, sebbene altri Dōjō  mostrino solo i nafuda di Yūdansha ma non quelli di Mudansha .  In alcuni Dōjō , i nafuda vengono utilizzati per tenere traccia delle presenze e in altri il nafuda di un membro viene rimosso per mancato pagamento puntuale delle quote mensili. 

In alcuni Dōjō  vengono visualizzati solo i nafuda dei membri attualmente attivi, mentre in altri i nafuda dei membri passati che si sono trasferiti o sono morti vengono visualizzati come una sorta di memoriale. 

Progettazione e posizionamento dei Nafudakake

Non esiste un design standardizzato per il nafudakake. Il nafuda può essere appeso a piccoli ganci sul kake o tenuto in posizione da cornici di legno.  Il nafudakake può essere collocato nello Shimoza (“sud” cosmologico, spesso l’attuale parete sud) di un Dōjō , sebbene possa trovarsi anche in altri luoghi come lo Shimoseki (“ovest” cosmologico), che nel pensiero taoista è rappresentativo della rettitudine, o della corretta relazione tra i membri del Dōjō .  Si può usare anche il Jōseki (cosmologico “est”), e se in una Ryū (流) vengono insegnate più Arti , possono essere mostrati nafudakake separati per entrambe le Scuole.

La disposizione del nafuda sul kake può essere molto diversa da un Dōjō  all’altro. Sebbene i caratteri cinesi siano tradizionalmente letti verticalmente e in colonne da destra a sinistra, alcuni Dōjō  posizionano il loro membro anziano nella parte in alto a sinistra del loro nafudakake. 

Esempio di Nafudakake
Esempio di Nafudakake
Nafudakake della Kuro Kumo Ryu Ninjutsu

Un nuovo Maestro in Ko Shin Kai Honbū Dōjō!!!

Ogniqualvolta la Ko Shin Kai Honbū Dōjō si arricchisce di un nuovo Maestro, aumenta in competenze, esperienze e trasmissioni.

E’ quindi con grande soddisfazione che comunico l’adesione del M° Nakya Carrani nella nostra ormai numerosa Famiglia.

Un breve curriculum di presentazione:”Istruttore 3°Dan Jujitsu metodo Robert Clark

Istruttore combattimento di pugnale scuola italiana metodo Folgore

Istruttore combattimento di pugnale scuola italiana metodo Arditi

Preparatore Atletico Sport da Combattimento

Istruttore di allenamento in sospensione

Mental Coach

Istruttore bodybuilding e fitness

Personal Trainer

Ex operatore della sicurezza secondo decreto Maroni del 2009″

Storia del Giappone – Periodo Sengoku – La battaglia del castello di Shiroishi (白石城の戦い Shiraishi jō no tatakai) – L’Assedio di Anotsu e la Campagna di Keichō Dewa

La battaglia del castello di Shiroishi (白石城の戦い Shiraishi jō no tatakai) avvenne nel 1600 nel sud della provincia di Mutsu.

Shiroishi era un castello a sud della città di Sendai, controllato da un servitore di Uesugi Kagekatsu, Amakasu Kagetsugu. Il clan Uesugi a sua volta fu uno dei principali sostenitori di Ishida Mitsunari.

Castello di Shiroishi – Prefettura di Miyagi

Date Masamune e Mogami Yoshiaki, Daimyō di grandi domini vicini, assediarono il castello su ordine di Tokugawa Ieyasu, il quale voleva sottomettere gli Uesugi, iniziando dall’area del monte Shinobu. Masamune iniziò l’attacco il 24 luglio bruciando una parte del castello che si arrese il giorno successivo. Questo assedio iniziò gli scontri tra gli Uesugi e la coalizione Date-Mogami nel nord del Giappone a cui seguiranno gli attacchi Uesugi da parte di Naoe Kanetsugu contro i castelli di Hataya, Kaminoyama e Hasedo.

Assedio di Anotsu

La battaglia del castello di Anotsu (安濃津城の戦い Anotsu jō no tatakai) fu combattuta nel 1600 in Giappone come parte della campagna di Sekigahara. Il castello di Anotsu viene spesso chiamato castello di Tsu.

Tomita Nobutaka e Wakebe Mitsuyoshi si schierarono con Tokugawa Ieyasu e, dopo l’inizio delle ostilità tra le due fazioni, una grande armata di circa 30 000 uomini guidata da Mōri Hidemoto, si diresse verso il castello di Anotsu (Ise) dalla provincia di Iga. La guarnigione del castello era formata da 1 700 a cui si aggiunsero 500 soldati di rinforzo guidati da Furuta Shigekatsu.

Tomita Nobutaka e la moglie

Gli scontri iniziarono il 30 settembre e sia Nobutaka che Mitsuyoshi guidarono le loro forze contro le avanguardie del clan Mōri, ma dopo l’arrivo del grosso dell’armata dovettero ripiegare dentro al castello. La disparità di forze era tale che i due generali accettarono una proposta di resa di Kikkawa Hiroie, il quale era segretamente in contatto con Tokugawa Ieyasu.

Viene ricordato il ruolo della moglie di Tomita Nobutaka che prese parte alla difesa del castello.

Sia Nobutaka che Mitsuyoshi vennero ricompensati dopo la vittoria Tokugawa.

Campagna di Keichō Dewa

Campagna di Keichō Dewa

La campagna di Keichō Dewa (慶長出羽合戦 Keichō dewa kassen) avvenne nel 1600 in Giappone, e viene considerata come la Sekigahara del Nord. Uesugi Kagekatsu, alleato di Ishida Mitsunari, invase il sud della provincia di Dewa per attirare le armate di Tokugawa Ieyasu a nord di Edo e lasciare sguarnito il centro del Giappone. Tuttavia Kagekatsu venne sconfitto dalle armate congiunte di Mogami Yoshiaki e Date Masamune, alleati Tokugawa.